Incontri di Counseling
Ognuno di noi, alla nascita, ha un proprio “buco” con il quale confrontarsi. Diventare
artisti della propria vita significa fare di quel buco un’opera d’arte, costruire intorno a
quel vuoto proprio come ha fatto Michelangelo. (Angelo Mercurio)
Dal latino relatio, derivante a sua volta da relatus, participio passato di referre,
significa “stabilire un legame”. Ed è proprio questo ciò che avviene, sempre, nella
nostra quotidianità.
Questo è ciò che accade nella relazione di counseling: due persone, counselor e
cliente, stabiliscono un legame, si connettono.
Il Teatro insegna quanto prezioso sia potersi connettere, in primis a se stessi.
Parrebbe quasi un controsenso: ma come, un attore non dovrebbe connettersi ad
un vissuto altro, per interpretare un personaggio? Verrebbe da chiedersi.
Non esistono “vissuti altri” perché, rifacendoci a Protagora, sofista greco, possiamo
dire che “l’essere umano è misura di tutte le cose”, e nella soggettivizzazione
dell’esperienza sta la grande sfida del counseling. E del teatro.
Tutto ciò che percepiamo parte sempre e inevitabilmente da noi, in quanto “noi”
siamo oggetto e misura di ciò che viviamo.
Nel teatro come nel counseling è necessario incontrare se stessi, prima che
chiunque altro, per conoscere, portare a consapevolezza e integrare aspetti profondi
che ci consentano di essere sempre più “individui”, dal latino in-dividuum:
indivisibile, intero.
Ogni essere umano è un “io” unico e irripetibile, e questo relativismo è parte
integrante di entrambi questi mondi: il counseling e il teatro.
Incontrare la specifica prospettiva di vita di un individuo, conoscere e rispettare la
sua apertura al mondo, la sua storia e il suo vissuto, è la grande sfida del counselor
per quanto riguarda i clienti che incontra, e dell’attore per quanto riguarda
l’avvicinarsi ad interpretare “altro da sé”.
L’essere umano è portato a dare un senso personale a ciò che vive.
Il counseling non è “sofistico”: obiettivo del professionista non è infatti quello di
persuadere il cliente, attraverso raffinate tecniche retoriche e dialettiche,
ingannevoli e manipolatorie.
Al contrario, fa dell’”ignoranza” socratica (“l’uomo più saggio è colui che sa di non
sapere”) il proprio manifesto e così la domanda posta si spoglia di altre finalità che
non siano quelle di comprendere e portare alla luce. Il processo è quindi un
disvelamento: domande come “che cosa senti?”, “che cosa intendi con questa
parola?”, “cos’è per te la fiducia?” ricreano una condizione di fertilità e portano
l’interlocutore a soffermarsi su aspetti che magari aveva precedentemente
tralasciato.
E’ proprio negli stimoli esterni, che ci portano a prendere consapevolezza delle
incongruenze interne, che possiamo trovare solidi gradini per la nostra ascesa
evolutiva.
La parola “psicologia” deriva la propria etimologia da psyché e logos: ragionamento
intorno all’anima. E per l’individuo moderno, assalito da ogni angolo da affermazioni
di valori divergenti e contraddittorie, non è più possibile insediarsi tranquillamente
nel sistema valoriale dei propri antenati. Diventa quindi sempre più urgente
dedicare del tempo a porsi quelle domande necessarie alla definizione dei nostri
confini, dei nostri obiettivi, del nostro sentire. Domande che ci permettano di vedere
dove ci troviamo, e cosa c’è intorno a noi.
Non posso produrre l’epifania di me stessa così come non posso far battere il mio
cuore: posso solo eliminare ciò che impedisce la mia epifania. Quando faccio questo
sto imparando a essere libera. (Barry Stevens)
Il counseling offre uno spazio di ascolto per poter incontrare l’altro e se stessi. È un luogo in cui poter coltivare la propria identità e le proprie risorse.
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