Il teatro non è semplicemente un palcoscenico dove si intrecciano storie immaginate e immaginarie, ma un tempio nascosto sotto la pelle del mondo, un varco segreto che svela dimensioni invisibili, eppure palpabili come il respiro dell’universo.
È il luogo dove l’uomo subisce la più grande delle metamorfosi: un rito di morte e rinascita che, attraverso il potere dell’arte, gli permette di scoprire e attraversare i misteri del proprio essere.
Ogni rappresentazione è quindi una sintesi cosmica, anche se microscopica, una danza tra lo scintillio dell’essere e le ombre della non-esistenza, dove ogni gesto e parola racconta la verità ultima: tutto ciò che appare è solo un’illusione, un sogno che svanisce al risveglio dell’anima, e solo nel silenzio più profondo si può udire la melodia segreta dell’essere eterno.
La scena che si apre su un mondo di stelle e polvere, cioè la materia di cui sono fatti gli esseri umani, diventa l’arena dove danzano le eternità, dove l’anima insegue il suo senso perduto.
È il luogo dove l’eterna lotta tra ciò che vediamo e ciò che si cela oltre il velo si fa carne e sangue.
Ogni parola pronunciata non è un semplice suono, ma un sigillo antico, una formula che dissolve il confine tra il mondo visibile e l’invisibile.
Ogni gesto è un abbraccio tra il caos e l’ordine universale, una danza che non è solo movimento, ma una metafora che racconta leggi immutabili eppure sempre nuove.
Perfino gli oggetti sul palco non sono più semplici artefatti, ma antichi chiavistelli, rivelatori di significati nascosti che solo gli occhi di chi sa vedere possono cogliere.
E così, il sipario che si solleva diventa la soglia tra i mondi, una pelle traslucida che si strappa, un passaggio che separa il mondo che conosciamo da quello che possiamo solo intuire o che forse semplicemente vorremmo.
Ciò che si mostra agli occhi è solo il riflesso di una verità più profonda, come le ombre proiettate sulla parete della caverna di Platone, oscure e ingannevoli, che diventano realtà per chi non osa varcare la soglia dell’illusione.
Ma forse, alla fine di tutto, è solo una distrazione metafisica, uno stato in cui ci si stacca momentaneamente dalle preoccupazioni materiali e sensoriali per immergersi in una riflessione o una contemplazione più alta, che riguarda la natura dell’esistenza, l’universo e il significato della vita.
Una sorta di evasione dalla realtà tangibile per connettersi a consistenze più sottili o spirituali, come se l’attenzione fosse guidata da una forza invisibile verso una ricerca esistenziale o una consapevolezza superiore.
E quando le luci si spengono e l’artista ci invita a sollevare il velo e oltrepassare quella soglia, possiamo finalmente scoprire l’essenza di ciò che siamo, spogliandoci delle false verità che ci tengono prigionieri.
Marco Antonelli